Abusi edilizi: il Comune non può ignorare la diffida post-Cila

 

Il Comune che dopo la comunicazione di inizio lavori asseverata fa finta di non vedere il manufatto contro legge rischia l’arrivo del commissario dalla prefettura a far abbattere l’abuso edilizio: la presentazione della Cila, infatti, non dispensa l’ente locale dall’esercitare i suoi poteri repressivi contro le irregolarità, mentre risulta illecita la condotta dell’amministrazione che non riscontra entro trenta giorni la diffida del vicino, il quale punta alla demolizione della veranda. È quanto emerge dalla sentenza 522/17, pubblicata dalla settima sezione del Tar Campania, di cui dà notizia Italia Oggi. Accolto il ricorso del condomino, atto che va qualificato come soggetto al rito del silenzio di cui agli articoli 31 e 117 del codice del processo amministrativo. Sbaglia il Comune a non compiere entro un mese le verifiche sulla Cila richieste nella diffida, perché il parere della Soprintendenza allegato parla chiaro: va ridimensionato il terrazzo che costituisce la copertura della veranda. Soltanto così si può ottenere la sanatoria. Risulta quindi illegittimo il silenzio serbato dal Comune perché dai documenti emerge che il manufatto è abusivo, mentre l’ente locale è deputato al controllo del territorio in base all’articolo 27 del Testo unico sull’edilizia e doveva dunque controllare la sussistenza dei requisiti per la Cila. Insomma: non soltanto l’amministrazione deve riscontrare la diffida del vicino entro trenta giorni — conclude Italia Oggi — ma nello stesso termine deve ordinare la demolizione della veranda e del terrazzo soprastante. E se non provvederà sarà «commissariato» da un funzionario della prefettura.
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